La mortadella, il prosecco, la mozzarella, e il parmigiano, naturalmente. Prodotti italiani che i ricchi russi vengono ad acquistare direttamente nel nostro Paese, ma che la maggior parte dei loro connazionali può trovare solo in versione taroccata. Il parmesan made in Mosca, le bollicine prodotte in Crimea, la Pizza “quatro formaggi” (scritto proprio così, con l’errore grammaticale): fatti in loco come recita l’etichetta ma chiaramente evocativi del Bel Paese nel nome e in altri elementi presenti sulla confezione, dalla foto ai colori a richiami più o meno espliciti all’Italia.
Ingannevoli, insomma, secondo i più strenui difensori del made in Italy, ma non perseguibili anche se si tratta di contraffazione. Vediamo nel dettaglio i motivi e la portata di questo fenomeno, un Italian Sounding sui generis perché determinato dagli eventi.
L’embargo di Putin: no ai prodotti italiani
Se la Russia, oggi, è tra le nazioni con più casi di contraffazione del made in Italy lo deve anche, ma non solo, all’embargo del governo russo su una serie di prodotti alimentari che il Paese governato da Putin importava in gran quantità, ma cui ha dovuto temporaneamente dire addio: frutta, verdura, carne, salumi, formaggi, pesce. Una chiusura pesante, sancita da Mosca, come ritorsione alle sanzioni europee per la questione Ucraina, il 7 agosto 2014: da quel giorno frontiere sbarrate per i cibi provenienti da Unione europea, Usa, Canada, Norvegia, Australia. Non solo Italia, dunque, e non solo per l’alimentare.
Ma per un Paese, il nostro, che proprio nell’esportazione di cibo e vino individua ogni anno di più la sua vocazione (nel 2015 il record, 36,8 miliardi di export), e che coi russi aveva intessuto nel settore relazioni salde e proficue, il decreto di Putin è stata una mazzata: lo scorso agosto, a due anni da quel provvedimento, Coldiretti calcolava in 7 miliardi e mezzo di euro la perdita complessiva per il made in Italy, di cui 600 milioni, quasi il 10%, per il comparto alimentare. Una vera guerra commerciale, capace di interrompere completamente un flusso che dal 2009 al 2014 era raddoppiato di quantità e valore economico. Ora l’Unione europea ha rinunciato a nuove sanzioni. Un contentino che non risolverà il problema, visto che il termine dell’embargo è fissato al 31 dicembre del 2017.
Italian Sounding: Parmesan, mozzarella e spumante
Dallo stop alle importazioni al boom dei prodotti italiani taroccati il passo è stato breve, forse perché molti di questi già erano sul mercato. A cambiare sono state le quantità, sia nella produzione che nella vendita. E così non è difficile trovare anche su Internet il prosecco della Crimea o la robiola Unagrande, perché non hanno nulla di illegale, e come questi tanti altri prodotti. Figurarsi nei banchi frigo dei negozi moscoviti. Secondo l’analisi di Coldiretti i più gettonati sono questi:
- Russkiy Parmesan
- Mortadella Milano
- Salame Italia
- Insalata “Buona Italia”
- Robiola
- Mozzarella
- Ricotta
Un aumento di produzione impressionante, con un potenziamento dell’industria alimentare e in particolare del caseario, sta alla base dell’impennata di queste produzioni. Il danno per l’Italia sta qui, nelle industrie casearie fatte potenziare da Putin, ma anche in quello di immagine per via della chiara imitazione del made in Italy. Senza parlare dei ristoranti italiani: era un punto d’orgoglio per loro l’utilizzo di materie prime d’importazione, ora o riescono a tenere botta con quel che trovano o sono costretti a chiudere bottega.
Concorrenza nella contraffazione
Ma non tutto ciò che si trova negli scaffali dei supermercati russi è autoctono: molti Paesi non colpiti dall’embargo di Mosca – Bielorussia, Argentina, Brasile -, hanno aumentato, sapendo di cogliere nel segno, le esportazioni di prodotti italiani taroccati. E così il “Russkiy Parmesan” viene prodotto non lont
ano dalla capitale, ma nelle principali catene del Paese sono in vendita con nomi italiani mozzarella, ricotta, mascarpone, robiola fatti in Russia, ma anche salame e gorgonzola svizzeri, il Reggianito argentino, il parmigiano brasiliano. Un trionfo tricolore ben visibile sulle confezioni, ma prodotto fuori dai confini. “Come spesso accade, la guerra e le sue conseguenze uccidono il commercio buono e fanno proliferare quello cattivo”: è quanto sostiene il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo, ed è una constatazione che nasconde la paura che i rapporti commerciali Italia-Russia siano ormai compromessi.
Russia, dove il made in Italy non passa mai di moda
I rimpianti, per l’Italia, aumentano se si osserva il comportamento riguardo ai prodotti alimentari dei turisti russi in viaggio attraverso la penisola. Lo si può facilmente evincere dal rapporto che la stessa Coldiretti ha fatto sul food shopping degli stranieri nel nostro Paese: il 62%, dunque 6 su 10, durante la permanenza in Italia acquista cibo, molto più che souvenir (50%), abbigliamento (48%), artigianato (25%). Ebbene, la passione per prosciutto, formaggio e vino travolge in particolare proprio i russi, 87%, contro il 76% dei giapponesi, il 64% dei tedeschi, il 62% degli americani e dei i cinesi, il 60% dei francesi. Tutti a fare scorte di italianità, che per gli ex sovietici di un certo livello economico (quelli che si possono permettere un viaggio) significa portarsi in Patria ciò che lì non troveranno della stessa qualità a causa dell’embargo. E dunque Grana e Reggiano, prosciutto di Parma e San Daniele, ma anche prodotti della terra freschi, come mele, uva da tavola e pesche, tra i più colpiti dalla chiusura della frontiera.
La sensibilizzazione dell’opinione pubblica e le azioni anticontraffazione delle autorità a poco servono, in questo caso, perché i prodotti in questione non varcano i confini della Russia. Servono al fabbisogno interno. Ma nel mondo, come più volte abbiamo visto nel passato anche recente, è facile imbattersi in falsi prodotti italiani: un vero sfregio alle eccellenze regionali, come abbiamo spiegato in questo articolo sulle etichette più bizzarre reperibili nei quattro continenti.
Tra le misure trasversali per combattere i fenomeni del falso made in Italy e dell’Italian Sounding (su questo fenomeno potete leggere l’intervista al giornalista Luca Ponzi), interessante quella del Food Act, varata di recente dal Governo: si tratta della valorizzazione della cucina italiana, ecco il nostro parere in proposito.
Fonte: Il Giornale del Cibo