IL SUCCESSO DEL NOSTRO PAESE È FRUTTO DELLE MATERIE PRIME MA ANCHE DELLA TECNOLOGIA: OGNUNO FACCIA LA SUA PARTE
ROMA «È il momento in cui si è finalmente iniziato a ragionare. E forse siamo sulla buona strada per affrontare i nodi dello sviluppo con più razionalitá e meno emotivitá. L’obiettivo è produrre ricchezza. Se riusciamo a crearla, potremo poi litigare su come distribuirla». Ivano Vacondio, presidente per il prossimo quadriennio di Federalimentare, sintetizza così il suo punto di vista sulla manovra finanziaria in discussione.
Emiliano, industriale mugnaio di 67 anni, è stato eletto due giorni fa al vertice dell’associazione degli imprenditori del secondo comparto manifatturiero italiano: 56 mila imprese, un fatturato di 140 miliardi di euro pari all’8% del Pil, 385 mila addetti. L’agroalimentare italiano non è fatto quindi solo dall’immagine bucolica della campagna felice. «Il successo del made in Italy alimentare è il frutto delle migliori materie prime nazionali ed estere, ma anche di tecnologia, processi e innovazione. Insomma del saper fare italiano. Eppure in Italia si è progressivamente affermata una generale deriva anti-industriale. Come Federalimentare, soprattutto di fronte al continuo calo dei consumi interni, dobbiamo farci veicolo di un’informazione scientifica corretta. Bisogna che a parlare di cibo sia la scienza perché oggi la cattiva notizia o la notizia allarmante è un danno per il Paese perché spaventa il consumatore e lo spaventa in un momento storico in cui i prodotti alimentari hanno le garanzie igienico sanitarie più alte di sempre».
Giusto combattere le fake news, ma anche le imitazioni all’estero nei nostri prodotti, il cosiddetto fenomeno dell’Italian Sounding.
«Siamo i leader nel mondo nell’alimentare e dopo la Ferrari il cibo è il brand italiano più conosciuto al mondo, che influisce anche sul turismo. L’export di settore ha registrato un aumento del 75,7% negli ultimi dieci anni, triplo di quello medio del Paese. Inoltre, a fronte di una prolungata stagnazione interna, investire sull’export è strategico per la crescita dell’intero comparto agroalimentare. Serve un’azione forte a sostegno dell’internazionalizzazione».
E quindi a chi governa cosa chiedete?
«È fondamentale incalzare il governo per aprirci anche con accordi bilaterali a mercati che ora sono chiusi e a mercati emergenti. Molto spesso si pensa che l’industria abbia bisogno di aiuti di carattere economico, ma il primo aiuto di cui abbiamo bisogno è politico. La prova è il buon esito della discussione giovedì scorso sulla risoluzione dell’Onu che avrebbe danneggiato il made in Italy. E poi alla politica chiediamo di essere aiutati con investimenti in infrastrutture e la diminuzione del costo del lavoro. Non apprezziamo di essere chiamati prenditori: diamo lavoro a 385 mila persone, possiamo confrontarci su come distribuiamo la ricchezza ma non sul fatto che concorriamo a crearla. Una cosa su cui non dobbiamo indietreggiare sono gli incentivi per chi investe, innova e assume giovani: il piano industria 4.0 va tutelato».
Insomma, grande sintonia con le politiche di Confindustria. Forse un po’ meno con gli altri imprenditori del settore, quasi a voler distinguere le posizioni.
«Nella filiera c’è chi produce la materia prima in campagna, chi la trasforma, chi la vende e infine il consumatore finale che va tutelato. Non vanno mischiati e confusi i ruoli. Siamo tutti in difficoltà e allora ognuno guardi in casa propria, faccia le autocritiche necessarie, spinga sulla ricerca scientifica e l’innovazione, proponga nuovi prodotti, ma non mischiando i ruoli. Ovviamente siamo poi tutti sullo stesso fronte per incrementare ancora l’export e incentivare i consumi interni».
Emiliano, industriale mugnaio di 67 anni, è stato eletto due giorni fa al vertice dell’associazione degli imprenditori del secondo comparto manifatturiero italiano: 56 mila imprese, un fatturato di 140 miliardi di euro pari all’8% del Pil, 385 mila addetti. L’agroalimentare italiano non è fatto quindi solo dall’immagine bucolica della campagna felice. «Il successo del made in Italy alimentare è il frutto delle migliori materie prime nazionali ed estere, ma anche di tecnologia, processi e innovazione. Insomma del saper fare italiano. Eppure in Italia si è progressivamente affermata una generale deriva anti-industriale. Come Federalimentare, soprattutto di fronte al continuo calo dei consumi interni, dobbiamo farci veicolo di un’informazione scientifica corretta. Bisogna che a parlare di cibo sia la scienza perché oggi la cattiva notizia o la notizia allarmante è un danno per il Paese perché spaventa il consumatore e lo spaventa in un momento storico in cui i prodotti alimentari hanno le garanzie igienico sanitarie più alte di sempre».
Giusto combattere le fake news, ma anche le imitazioni all’estero nei nostri prodotti, il cosiddetto fenomeno dell’Italian Sounding.
«Siamo i leader nel mondo nell’alimentare e dopo la Ferrari il cibo è il brand italiano più conosciuto al mondo, che influisce anche sul turismo. L’export di settore ha registrato un aumento del 75,7% negli ultimi dieci anni, triplo di quello medio del Paese. Inoltre, a fronte di una prolungata stagnazione interna, investire sull’export è strategico per la crescita dell’intero comparto agroalimentare. Serve un’azione forte a sostegno dell’internazionalizzazione».
E quindi a chi governa cosa chiedete?
«È fondamentale incalzare il governo per aprirci anche con accordi bilaterali a mercati che ora sono chiusi e a mercati emergenti. Molto spesso si pensa che l’industria abbia bisogno di aiuti di carattere economico, ma il primo aiuto di cui abbiamo bisogno è politico. La prova è il buon esito della discussione giovedì scorso sulla risoluzione dell’Onu che avrebbe danneggiato il made in Italy. E poi alla politica chiediamo di essere aiutati con investimenti in infrastrutture e la diminuzione del costo del lavoro. Non apprezziamo di essere chiamati prenditori: diamo lavoro a 385 mila persone, possiamo confrontarci su come distribuiamo la ricchezza ma non sul fatto che concorriamo a crearla. Una cosa su cui non dobbiamo indietreggiare sono gli incentivi per chi investe, innova e assume giovani: il piano industria 4.0 va tutelato».
Insomma, grande sintonia con le politiche di Confindustria. Forse un po’ meno con gli altri imprenditori del settore, quasi a voler distinguere le posizioni.
«Nella filiera c’è chi produce la materia prima in campagna, chi la trasforma, chi la vende e infine il consumatore finale che va tutelato. Non vanno mischiati e confusi i ruoli. Siamo tutti in difficoltà e allora ognuno guardi in casa propria, faccia le autocritiche necessarie, spinga sulla ricerca scientifica e l’innovazione, proponga nuovi prodotti, ma non mischiando i ruoli. Ovviamente siamo poi tutti sullo stesso fronte per incrementare ancora l’export e incentivare i consumi interni».
Fonte: Il Messaggero