di Fabio Savelli
MILANO Forse stavolta conviene rovesciare l’approccio e partire dai posti di lavoro. Persi. Rileva Luigi Scordamaglia, consigliere delegato della neonata Filiera Italia (a cui aderisce anche Coldiretti e alcuni marchi come Ferrero e Cremonini) e con un passato in Federalimentare, che sarebbero «300mila gli addetti» che recupereremmo, soprattutto all’estero, se riuscissimo a derubricare l’«Italian Sounding» a fenomeno marginale, quasi folcloristico, ad evidenziarne la sua comicità permettendo al consumatore finale di comprendere che stiamo parlando di «finto made in Italy» che passa attraverso insegne tricolori ammiccanti e formule di marketing aggressive. Eppure il «parmesan», solo per citare il caso più lampante, trionfa ovunque. Nella ristorazione e nella grande distribuzione, nei bar e nei fast-food di mezzo mondo.
Per questo ieri cento imprenditori riconducibili a primarie realtà italiane, tra cui Cantine Ferrari, Flou, Caffè Vergnano, Parmacotto, La Molisana, Cucinelli, Menarini e Balocco, hanno invocato una legge europea che valorizzi e difenda il made in Italy. Lo hanno fatto in Parlamento facendosi portatori di una campagna di sensibilizzazione guidata dal presidente della Commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella. Più della cornice comunitaria attuale, ostaggio di steccati nazionali e veti incrociati. La volontà è quella di andare nella direzione della massima trasparenza in etichetta in grado di ricostruire tutta la filiera di un prodotto, le sue origini e la sua trasformazione. «Non è più possibile separare il prodotto italiano dal suo modello e dalle sue radici», dice Scordamaglia.
Da più parti si rileva la necessità di costituire un ministero ad hoc, che razionalizzi le competenze che oggi sono divise in più ministeri, soprattutto tra il dicastero dello Sviluppo e quello degli Esteri, e che si concentri sulla tutela, la promozione e il commercio internazionale dei prodotti. Ne ricaverebbe vantaggi anche il nostro export.
Fonte: Corriere della Sera