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ITALIAN SOUNDING: UNA BATTAGLIA DA VINCERE

[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1538576640195{margin-bottom: 10px !important;border-bottom-width: 10px !important;padding-bottom: 10px !important;}”]Perché l’utilizzo improprio di denominazioni e immagini simbolo dell’Italia per commercializzare prodotti non italiani sono un pericolo per il nostro mercato.[/vc_column_text][vc_column_text]

Il nostro Paese, famoso in tutto il mondo per la perizia nelle produzioni, esporta ogni anno enormi quantità di merce che, per i suoi alti standard qualitativi, viene particolarmente apprezzata e ricercata dagli acquirenti stranieri. Tra i diversi settori nei quali il marchio made in Italy dimostra tutto il proprio valore troviamo la meccanica di precisione, la moda e l’agroalimentare, quest’ultimo simbolo del prestigio che la nostra cultura culinaria gode al di fuori dei confini italiani.

A partire dal 2017 gli introiti derivati dall’esportazione dei prodotti agroalimentari italiani sono tornati a crescere, attestandosi sui 137 miliardi di euro; nei primi mesi del 2018 l’aumento del fatturato è stato del 3,5% più alto rispetto all’anno precedente e il trend suggerito dalle stime indica che il mercato del food and beverage continuerà a crescere in modo costante. A guidare il flusso di esportazione sono naturalmente i prodotti certificati DOP e IGP, che da soli coprono circa il 22% dell’export agroalimentare italiano, a testimonianza del fatto che gli stranieri riconoscono la qualità dei nostri prodotti e ne ricercano l’autenticità.

A rovinare questo quadro positivo, però, giunge il fenomeno dell’Italian Sounding, termine che indica l’utilizzo improprio di denominazioni geografiche, simboli e immagini associabili all’Italia per promuovere e commercializzare prodotti che non sono affatto italiani e poco hanno a che spartire con quelli autentici provenienti dal nostro Paese. Il giro di affari complessivo dell’Italian Sounding, unito agli introiti generati dalla vendita di veri e propri prodotti contraffatti, si attesta intorno ai 100 miliardi di euro all’anno, cifra che danneggia fortemente l’economia del nostro Paese, se solamente pensiamo che all’estero su dieci generi alimentari dal nome italiano almeno sei non sono autentici.

Secondo la recente indagine[1] condotta sul tema da Assocamerestero – l’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero – il settore maggiormente penalizzato dal fenomeno è quello dei prodotti confezionati, quali sughi, condimenti, conserve, pomodori in scatola, piatti pronti e surgelati. Al secondo posto troviamo il comparto dei latticini, seguito poi dall’ingrediente più iconico della nostra cucina, la pasta; chiudono la lista, infine, i prodotti da forno e quelli a base di carne. L’Italian Sounding copre un’ampissima fetta di mercato alimentata da stranieri ignari della falsificazione, i quali probabilmente sceglierebbero di comprare il prodotto italiano originale, qualora ne avessero l’opportunità; sembra infatti che l’impedimento principale ad un maggiore sviluppo di prodotti autentici non sia tanto il costo più elevato, quanto la difficoltà di reperimento e la mancanza in alcuni Paesi di leggi che vietino espressamente l’imitazione del prodotto. Poiché giuridicamente l’Italian Sounding non può essere assimilato alla contraffazione, risulta ancora molto difficile capire come poter arginare il fenomeno dilagante ormai in moltissimi Paesi, tra i quali anche gli Stati Uniti, il primo mercato al di fuori dell’Europa per importazione di food and beverage made in Italy.

Negli ultimi anni molte sono state le iniziative volte a fermare per quanto possibile questa pratica e in aiuto dell’autenticità dei prodotti fatti interamente in Italia è giunta persino la tecnologia.

A farsi pioniera della rivoluzione digital dell’agroalimentare è l’industria vitivinicola, che sfrutta ormai da tempo la tecnologia in diversi settori della filiera: le vigne vengono monitorate tramite droni che rilevano i dati sulla maturazione dell’uva; speciali macchine assistono l’uomo nella raccolta dei grappoli e facilitano la pigiatura; robot sperimentali verificano la qualità e lo stato di salute dell’intero vigneto. Ed è proprio l’industria del vino, uno tra i prodotti made in Italy più apprezzati e ricercati all’estero, ad introdurre un nuovo software per la certificazione del prodotto e il tracciamento della filiera: il sistema Dioniso, recentemente sviluppato dalle società Hitachi, Penelope e Cisco, sembra garantire l’automatizzazione del processo ispettivo preliminare alla certificazione. Il vino viene in questo modo monitorato costantemente prima e dopo il rilascio della fascetta ministeriale che ne attesta la certificazione; grazie al software Dioniso, inoltre, i marchi DOC e DOCG vengono digitalizzati, garantendo una maggiore sicurezza sull’autenticità del prodotto e facilitando la tracciabilità della singola bottiglia.

Se ancora è impossibile intravvedere la fine della guerra all’Italian Sounding, sembra invece che una prima battaglia stia per concludersi nel migliore dei modi: il supporto del digitale nella certificazione dei prodotti di marchi DOP, IGP e DOCG porterà infatti ad una più sicura identificazione di contraffazioni e imitazioni fasulle.

[1] Per consultare il file completo clicca qui

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